TRIBUNALE DI SIENA
COMPARSA CONCLUSIONALE
Per il Sig. Fabio Del Toro, nella sua qualità di Presidente del Circolo di Cultura Musicale e Arti Multimediale Sing Sing
( Avv.ti Riccardo Gilardoni ed Enrico De Martino )
-convenuto-
Contro EMI Music Italy spa ed altri
- attori-
FATTO E DIRITTO
La mole del fascicolo processuale è notevole (si direbbe enorme), così come enorme (non basta l'aggettivo " notevole") è la pretesa risarcitoria ex adverso avanzata, ma le questioni in esame sono, in fondo, poche e relativamente semplici.
1) ECCEZIONE DI CARENZA DI LEGITTIMAZIONE ATTIVA
Il fatto notorio che gli attori siano famose case discografiche e famosi autori-esecutori musicali non rende automaticamente, gli stessi legittimati al presente giudizio, e (a maggior ragione) a fronte dell'eccezione formulata fin dalla fase cautelare, avrebbero dovuto dimostrare la titolarità dei diritti sui dischi ( CD ) oggetto dell'attività del Circolo convenuto.
Le case produttrici avrebbero dovuto dimostrare che si tratti di dischi da loro prodotti; gli autori/esecutori avrebbero dovuto dimostrare che si tratti di dischi a loro riferibili (e per i quali non valga l'altrove rammentata presuzione legale di trasferimento dei diritti al produttore), con chiarezza che, per tutti gli attori e per ciascuno di essi, le domande risulterebbero comunque fondate, sotto ogni loro aspetto, nella parte in cui risultasse la legittimazione attiva in capo agli attori.
Or dunque, non pare a chi scrive che si sia data prova di tale legittimazione, ovvero e quantomeno che la stessa riguardi la generalità dei CD posseduti dal Circolo ed oggetto della sua attività ( di una delle sue ettività).
2) FONDATEZZA DELLA DOMANDA
Ribadito che la domanda di ciascun attore può dirsi fondata (in astratto) solamente per quanto attiene ai dischi di rispettiva pertinenza (ragion per cui solamente in relazione ai medesimi, evidentemente, potrà darsi provvedimento interdittivo ed in relazione alla "quantità" e " qualità" effettivamente accertata potrà riconoscersi risarcimento del danno), dobbiamo contestare che ciascun attore abbia offerto prova della lesione in concreto dei propri diritti.
Ben si può proporre congiuntamente un'azione, sussistendone i presupposti di rito, ma non può darsi "azione collettiva", nella fattispecie: ciascun soggetto può chiedere ed ottenere tutela solamente dei propri specifici ed individuali diritti (ciascuno può chiedere interdizione ed ottenere risarcimento solamente per l'abuso effettivamente dimostrato in relazione ai dischi che lo riguardano; non si può chiedere interdizione generale e generica, né risarcimento del danno cumulativo e collettivo).
E' necessario, a questo punto, aprire una "parentesi" relativamente alla posizione degli autori/esecutori in ordine ai quali è stato proposto interrogatorio formale.
Questa parte ha sostenuto che gli autori/esecutori che hanno agito nel presente giudizio lo abbiano fatto dopo aver “pubblicamente” rinunciato alle privative inerenti le opere di pertinenza, offrendo un generale consenso ad attività quali quelle svolte dal Circolo Sing Sing (e ciò prescindendo dalla necessità di un tale consenso).
In ordine a tale circostanza che escluderebbe “a monte” la fondatezza della domanda svolta da detti attori, è stato ammesso l'inerrogatorio formale dei medesimi.
Il Giudice ha ritenuto, tuttavia, che lo stesso dovesse svolgersi ( non davanti a sé bensì ) per rogatoria (occorrendo internazionale) dinanzi al Giudice avente giurisdizione sul luogo di residenza dei singoli attori cui l'interrogatorio era deferito.
Chi scrive ha contestato (e ribadisce, oggi, la propria contestazione) in ordine alla possibilità di accollare al convenuto dinanzi al Giudice di Siena le spese e gli oneri di un interrogatorio formale per rogatoria (anche internazionale): è l'attore che ha promosso il giudizio ed è lui che deve essere disponibile alla convocazione dinanzi al Giudice adito, al fine di sostenere la propria tesi in sede di interrogatorio formale.
Ferma quindi rimanendo l'istanza di revoca dell'ordinanza che dichiara la decadenza in punto di interrogatorio formale e di modifica di quella ammissiva del medesimo nella parte in cui ne prevede l'esperimento per rogatoria, non è detto che,anche rebus sic stantibus, debba ritenersi la decadenza predetta.
Va, infatti, rammentato che gli attori ( come pur sarebbero stati tenuti a fare) non avevano indicato la propria residenza nell'atto introduttivo e, per tanto, su istanza di chi scrive, il Giudice li aveva invitati a farlo, al fine di rendere (astrattamente) possibile l'individuazione dei giudici da interessare per le singole rogatorie.
A tale invito gli attori hanno risposto, con un atto inizialmente parso tardivamente depositato (questa parte, ignorando il ritardo con il quale il difensore avversario aveva ricevuto comunicazione dell'ordinanza, aveva ritenuto anzitempo scaduto il termine).
Gli attori, appunto, hanno risposto non tutti e non correttamente.
Come già, altrove, ampiamente illustrato, infatti, non solo per chi non ha dato riscontro all'invito del Giudice dovrà considerarsi la non disponibilità a rendere l'interrogatorio (e, quindi, l'ammissione della circostanza di fatto dedotta nel capitolo ammesso) ovvero dovrà disporsene interrogatorio innanzi al Giudice senese, ma altrettanto dovrà farsi anche per gli altri attori “interrogandi”.
Difatti, da parte di questi ultimi,contrariamente a quanto disposto dal Giudice ( e processualmente necessario) non sono state dichiarate le personali residenze,essendo stato indicato,contutta evidenza,esclusivamente un “domicilio eletto” al fine dell'esperimento dell'interrogatorio.
Ad uno sguardo che non sia del tutto superficiale, non sfugge come l'elezzione di domicilio non sia, nella fattispecie, una valida alternativa alla dichiarazione di residenza.
Deve contestarsi come illegittimo che l'attore scelga il Giudice dinanzi al quale rendere l'interrogatorio, eleggendo domicilio dove meglio crede!
L'elezione di domicilio, ai fini di una rogatoria, provoca la lesione del fondamentale principio del Giudice “naturale” ( che vale, ex art. 25 Cost., anche per gli atti di istruttoria delegata) e ( percè no?!) può consentire al “dichiarante” ( che potrebbe avere la redidenza in luogo ben vicino, magari anche in Italia) di costringere l'altra parte ( quella che scrive) a rivolgersi oltre oceano per un atto di istruttoria.
In conclusione, tutte le controparti hanno manifestato la propria indispoibilità a rendere l'interrogatorio formale definito ed ammesso.
E' evidente, per quanto dsopra, che le controparti che ( non rispondendo al definito interrogatorio) dovessero intendersi aver “confessato” di aver utilizzato il libero scambio delle opere loro riferibili attraverso strutture ed organizzazioni tipo “Napster”, ovvero associazioni di cultura musicale risulterebbero, ipso facto, soccombenti, per aver azionato un diritto cui avevano precedentemente rinunciato ( ovviamente, sempre che avessero un diritto e che occorresse una loro rinuncia!).
Salva la particolare posizione degli attori cui è stato definito interrogatorio formale, occorre discutere “ nel merito” la controversia,attesa la presenza di altri attori.
Va chiarito innanzitutto, che la sentenza di condanna penale dei Sig.ri Del Toro emessa dal tribunale di Siena ( e passata in giudicato , in quanto non accolti i gravami) non può “ far stato” nel presente procedimento; e ciò per numerose ragioni.
In primo luogo, i fatti per cui v'è stata condanna non sono esattamente sovrapponibili a quelli di cui si tratta nel presente procedimento ( trattandosi dell'attività risalente agli anni 1996 e precedenti).
In secondo luogo, trattasi di sentenza emessa ( sotto il profilo civilistico) nei confronti di un diverso contraddittore ( Associazione F.I.M.I.).
In terzo luogo, tale “conclusione” del giudice penale di Siena è “compensata” da quella , di segno assolutamente opposto contenuta nella sentenza del Tribunale di Arezzo ( resa in ordine alla attività svolta dal Circolo Sing Sing nel periodo temporale di cui si tratta nel presente procedimento), depositata agli atti del presente procedimento all'udienza del 30/10/2003.
Va, quindi, tenuto conto, essenzialmente dell'esito dell'istruttoria svoltasi dinanzi a questo giudice civile.
Or dunque, controparte ( in estrema sintesi) sostiene che l'attività di circolo culturale
dell' associazione Sing Sing sia una simulazione, “nascondendo” un'attività di carattere imprenditoriale dei convenuti Fabio e Marco Del Toro, e che, comunque, l'attività svolta sarebbe intrinsecamente illecita, non essendo consentito, tout court ed indipendentemente dallo scopo di lucro, la cessione in uso delle opere discografiche (salve le eccezioni previste dalla legge).
L'affermazione avversaria relativa alla ritenuta simulazione di un'attività associativa, dissimulante un'attività imprenditoria in capo ai Sig.ri Del Toro, appare apodittica.
Controparte cerca di dimostrare tale assunto formulando calcoli ed ipotesi sul “ giro di affari” procurato dal versamento da parte dei soci del Circolo a fronte dell'uso domestico dei dischi disponibili presso il Circolo stesso, asserendo che si tratti di un versamento obbligatorio e qualificandolo “ prezzo di noleggio”.
L'istruttoria ha, tuttavia, dato riscontri di segno opposto.
In primo luogo risulta provato agli atti (ed è la controparte a dover provare il contrario!)
che i Sign.ri Del Toro nulla hanno mai ricevuto a titolo di compenso per l'attività prestata:
nemmeno una lira (od un euro se si vuole) è passata dalle casse dell'Associazione alle tasche dei suoi rappresentanti.
Da ciò consegue che non si tratta di attività imprenditoriale da parte dei Sig.ri Del Toro.
Al di la del fatto poi che gli enormi introiti ex adverso calcolati costituiscono importi “di fantasia” ( ben minore essendo la somma dei contributi versati dai soci), non soltanto è risultato chiaro trattarsi di contributi volontari, ma il tutto neppure ha rilevanza di sorta.
Una volta chiarito che non v'è attività imprenditoriale mascerata da attivita sociale, ovvero chiarito che quello che entra nelle cassa del Circolo ivi resta ed è utilizzato per gli scopi sociali (non “deviato” ad utile personale di singoli esponenti), poco importa se l'Associazione abbia previsto l'obbligatorietà di speciali contributi “ integrativi “ da parte dei soci che usufruiscono di particolari servizi sociali e poco importa se tali contributi siano proporzionati al rimborso delle spese e/o valore del servizio.
L'associazione è del tutto libera di regolarsi come crede relativamente all' an ed al quantum dei contributi a carico dei soci che usufruiscono di servizi da parte dell'Associazione stessa.
E' questione di politica gestionale: fermo restando che la predisposizione dei vari servizi e la loro destinazione ai soci rappresenta un costo che deve essere “sostenuto” dai soci medesimi, si può prevedere una quota associativa alta, cosicchè i vari servizi risultino “ gratuiti “ o “sotto costo” per chi ne usufruisce direttamente, ovvero una quota associativa che “copra” le sole spese generali, chiedendo a chi in concreto usufruisca di uno specifico sevizio il rimborso del costo vivo del medesimo, o – ancora – una quota minima, contando che vi sono sufficenti soci utilizzatori in concreto dei servizi, cosicchè il “sovrapprezzo” applicato copra anche la parte di spese generali non coperta dalle quote sociali.
Quanto sopra con chiarezza che per “ spese generali” non si deve necessariamente intendere il “ minimo vitale” per la sopravvivenza, ma anche qualsiasi spesa ( magari notevole) che l'associazione decida di effettuare per il miglioramento della propria attività.
Il vero problema è se il “ circuito economico “ si chiuda o non all'interno dell'Associazione, ovvero se l'avanzo di bilancio sia destinato alle attività sociali: nel caso di specie così si è visto che stanno le cose ( e sarebbe stata controparte a dover provare il contrario)!
Non si può quindi presumere un'attività imprenditoriale “nascosta” da una attività associativa: controparte è libera di “sospettare” ciò che vuole, ma non può pretendere che il suo sospetto valga prova ( o anche solo indizio in sede processuale).
A far crollare (miseramente) il castello delle accuse avversarie, valgono, poi, le molte testimonianze acquisite in ordine all'effettiva regolarità dell'attività sociale ed alla varietà delle sue espressioni e manifestazioni.
Escluso, per tanto, che l'attività sociale del Circolo Sing Sing dissimuli un'illecita attività di noleggio di dischi e che, quindi, la domanda avversaria possa, a fronte di ciò, dirsi fondata ( seppur nei rigorosi limiti più sopra indicati), si deve valutare se l'attività possa dirsi illecita di persè.
Or bene, è pacifico che l'attuale disciplina, con estremo rigore e con eccezioni certamente esorbitanti la fattispecie che ci occupa, vieti la concessione di dischi, a titolo di noleggio od uso di qualsiasi genere.
Tuttavia, da qui a dire che, di conseguenza, sia intrinsecamente illecita l'attività del Circolo Sing Sing ne corre alquanto.
Difatti perchè vi sia concessione a titolo di noleggio ( od in uso qualsivoglia ) deve esistere la figura dell' ”altro” rispetto al concedente.
E qui l' “altro” non esiste.
I beni in questione ( i dischi) sono di proprietà comune di tutti i soci del Circolo, dagli stessi acquistati usando del fondo comune ( creato dalle quote sociali e dai contributi versati), ed il socio che ne usa non usa un bene altrui, bensì un bene che è (anche) suo proprio.
Il fatto che i soci si diano regole per l'uso comune non fa configurare un noleggio od una cessione in uso.
Il fatto che il socio versi un importo ( foss'anche tenuto, per regolamento sociale, a versarlo) non rende l'importo versato “prezzo”, giacchè lo stesso è conferito nella cassa comune, al fine di contribuire alle spese generali, a quelle necessarie per la sostituzione del bene (una volta usurato) e a quelle necessarie per l'incrmento dei beni e dell'attività sociale.
Poco importa, lo si è visto prima, se il contributo “straordinario” richiesto al socio che gode dello speciale servizio della fruizione domestica del bene comune sia superiore a quello necessario a “coprirne “ l'usura.
Quello che conta è la destinazione del sovrappiù: se esso resta a favore della attività sociale, il circuito economico è “ chiuso” e non sussiste l'”alterità” necessaria a configurare un rapporto di cessione in uso ( da un soggetto ad un “altro” appunto).
L'uso in comune di un bene acquistato in comune non è illegittimo ( se Dio vuole! Verrebbe da dire ), ragion per cui nessuna attività illecita è svolta dal Circolo e dai suoi soci.
Nessuna interdizione è possibile, quindi, nessun risarcimento è dovuto agli attori.
Per ciò, le domande di questi ultimi dovranno essere respinte, con ogni conseguenza anche in ordine al provvedimento cautelare assunto ante causam, nonché alla condanna alla refusione delle spese legali.
Quanto a quest'ultima, si confida che sia rigorosa, affinchè, almeno sotto detto profilo, il Circolo convenuto non abbia a patir danno dall'azione inopinatamente promossa nei suoi confronti
Arezzo-Siena, 20.12.2004
Avv. Riccardo Gilardoni Avv. Enrico De Martino