Caldissima estate, questa del 2003, e non solo dal punto di vista meteorologico,
anche in campo musicale si sono susseguiti tutta una serie di grossi appuntamenti
musicali che ci hanno costretti a sciamare su e giù per la penisola
all’inseguimento dei nostri beniamini.
Intendiamoci, non che la cosa mi abbia fatto dispiacere, anzi, ce ne
fossero più di frequente periodi tanto prolifici.
Alla fine, anche se con le tasche un po’ più vuote, proviamo
a fare un bilancio di quello che abbiamo potuto vedere.
La partenza è di quelle col botto: a Giugno infatti ci sono
state ben due date di Bruce Springsteen ed il ritorno dei Rolling Stones:
tre concerti che, diciamocelo subito, sono stati i migliori di tutta la
stagione. Per chi mi segue sa che secondo me, dopo aver visto Springsteen,
nulla più può essere come prima, sono concerti che ti segnano
per sempre e che immancabilmente ti ritornano in mente tutte le volte che
vedi altri artisti ed impietosamente ti ritrovi a fare paragoni.
Anche stavolta Springsteen non ha tradito tutti noi suoi devoti pronti
a prostrarci di fronte alla sua immensa grandezza ed a godere di quello
che continuo a ritenere il miglior set rock in circolazione. La data di
Milano era quella sicuramente più attesa, c’era il ritorno nello
stadio dove aveva debuttato ben 18 anni fa incantando tutti i fortunati
che godettero di quella miracolosa apparizione e molti dei quali, seppur
con i capelli un po’ imbiancati, non hanno voluto mancare questo
ritorno. Ed evento anche stavolta è stato, trasformato in leggenda
da raccontare chissà per quanto tempo, da un quasi uragano che,
tra tuoni e fulmini, ha investito San Siro durante il concerto, non riuscendo
però a spezzare l’incantesimo, anzi rinfocolando appunto la leggenda
con il Boss che, imperterrito sotto la pioggia, ha regalato una magistrale
“Waitin’ on a sunny day” e “Who’ll stop the rain” invocata da tutto il
pubblico, che si è scatenato in una sorta di danza scacciapioggia
indimenticabile. Dal punto di vista prettamente musicale comunque, secondo
me, la data di Firenze è stata ancora migliore, con Bruce in serata
di grazia, non so se per l’anniversario di nozze che festeggiava proprio
in quel giorno o per quale altro motivo (ammesso che ce ne debba essere
per forza uno), fatto sta che ci ha regalato il miglior concerto delle
sue recenti apparizioni italiane, a parte i soliti cavalli di battaglia
da ricordare la riproposizione delle scatenate “Kitty’s back” e “Seven
night to rock” e l’apparizione solitaria sulle note di una “Born in the
USA” con una chitarra acustica 12 corde superdistorta. E se di Firenze
ricorderemo l’inizio di Milano non è possibile dimenticare il saluto
sulle note di una sempre bellissima “Rosalita”, anche se poi anche
qui l’ingresso della band sulle note di “C’era una volta in America”è
stato da brividi. Insomma, al solito, tantissimi ricordi indelebili ed
uno spettacolo che non ha uguali.
Tra le due apparizioni italiane di Springsteen, abbiamo avuto il diversivo
del ritorno dei Rolling Stones in terra italica, anch’essi allo stadio
San Siro di Milano. I giornali, che in tempo estivo riescono a scrivere
ancora più baggianate che in altri periodi dell’anno, hanno subito
trovato il modo di instaurare una bella diatriba sulla inutilità
di Jagger e compagnia bella nella scena attuale, non avendo ormai più
nulla di nuovo da dire e riproponendosi, a dir loro, ormai quasi come macchiette
di se stessi.
A parte il fatto che se andiamo a cercare personaggi fasulli nella
scena musicale odierna non so quanti se ne salvano, lo spettacolo che è
andato in onda sul prato di San Siro è sicuramente uno dei migliori
che ci siano in circolazione; sentire Jagger è sempre un piacere,
vedere Keith Richards contorcersi sulla chitarra ed inannelare uno dopo
l’altro tutti quei riff che hanno fatto la storia del rock ci fa ancora
godere da pazzi, la scenografia e le trovate sono semplicemente perfette
e soprattutto chi si può permettere due ore e passa di concerto
che sono un piccolo bignami della storia della musica rock ? Il pubblico
è andato ben presto in delirio, accompagnando tutte le canzoni all’unisono
con il vecchio Jagger, che per due ore e più ha continuato ad agitarsi
e correre lungo l’enorme palco. Ma tutto il gruppo nel suo complesso ha
dimostrato di essere ancora la miglior macchina rock in circolazione.
Certo rispetto al set del Boss si respira un’aria diversa; Springsteen
ha quel modo di donarsi completamente al pubblico come nessun altro è
capace di fare, a distanza di anni riesce ancora a trasmettere un messaggio
ed un modo di essere di cui gli Stones non sono sicuramente più
capaci; le loro canzoni suonano ormai come qualcosa di storico ed immobile,
ma nonostante questo sono ancora capaci di colpire al cuore tutto il pubblico,
e questo solo i grandi personaggi e la grande musica possono farlo.
Vogliamo chiamarla musica “rock classica” ? Fate un po’ voi, a me fa
effetto solo pensare che un giorno i nostri nipotini andranno forse a vedere
in qualche sala un concerto di musica classica con musiche di Jagger-Richards;
allora permettetemi finchè posso di divertirmi con gli originali.
Dopo simili spettacoli il resto dell’estate era sicuramente segnata,
ed allora ecco la mezza delusione di Manu Chao, perfetta macchina ritmica
ma poco più , con canzoni troppo spesso costruite su niente, sorrette
solo dal perfetto ritmo saputo tenere dal formidabile gruppo che lo accompagna;
alla lunga però il gioco stanca un po’ se non supportato da belle
canzoni, che invece si contano sulle punte di dita di una mano. Il pubblico
comunque si è divertito ed ha ballato per tutto il concerto, continuando
sino a notte fonda grazie al dopo concerto offerto dallo stesso Manu Chao
in compagnia del suo gruppo con dj set e ancora parti suonate. Unica nota
stonata una Volterra in assetto di guerra, con forze dell’ordine in ogni
posto, forse per la solita paura del diverso o dell’accorrere di chissà
quali ipotetici personaggi destabilizzanti; naturalmente solo di una bella
festa di musica si è invece trattato.
La stessa sera si sono esibiti anche gli amici della Bandabardò;
penalizzati un po’ dalla brevità del set e forse anche dal lungo
viaggio che li ha portati in quel di Volterra, non hanno potuto mostrare
appieno tutte le loro potenzialità. Nonostante ciò le loro
canzoni, con il giusto mix tra musica e parole, si sono ancora una volta
mostrate quanto di meglio si possa oggi ascoltare in campo nazionale in
ambito leggero, usando quel “leggero” in senso nobile del termine, dove
appunto le parole riescono a portare qualche messaggio e mai suonano banali,
attingendo dalla migliore canzone d’autore e dove la musica mai stanca
e sempre risulta piacevole e coinvolgente; canzoni che muovono insomma
corpo e mente.
Stimolato dalla breve apparizione non ho voluto mancare il loro concerto
dopo qualche giorno in quel di Firenze, dove giocavano in casa e dove hanno
raccolto il meritato trionfo tributatogli dai tanti fans che fedelmente
li seguono. Il gruppo, che tra l’altro musicalmente è preparatissimo,
ha snocciolato tutti i cavalli di battaglia accompagnato e stimolato continuamente
dal numerosissimo pubblico che ha trasformato ben presto il concerto in
una festa collettiva.
Sempre in campo italiano non mi hanno convinto appieno nemmeno Enzo
Jannacci e Fiorella Mannoia. Per entrambi era la prima occasione che avevo
di vederli; Jannacci comincia forse a mostrare gli anni e sembra non reggere
molto bene un intero concerto, ma quello che mi ha disturbato maggiormente
è stato il gruppo, guidato tra l’altro dal figlio dello stesso Jannacci,
che troppo spesso allunga il brodo con smanie solistiche e superarrangiamenti
che, secondo me, mal si addicono con le atmosfere delle belle canzoni di
Jannacci. Non a caso le canzoni più riuscite sono state quelle in
cui l’atmosfera si è fatta più crepuscolare ed intima; da
segnalare ad esempio una bella versione di “Via del Campo” in omaggio a
De Andrè. Il finale è stato poi finalmente pirotecnico con
Mauro Pagani cha ha raggiunto Jannacci sul palco, accompagnandolo in una
scoppiettante e dilatata versione di “Ho visto un re”.
Per la Mannoia invece, dotata indubbiamente di una grande voce e di
buon talento, non mi e piaciuto quel suo proporre quasi ed esclusivamente
canzoni celebri dei suoi amici cantautori. Capisco che così facendo
si vada sul sicuro e non si corrano rischi, ma se devo ascoltare una decina
di canzoni di Fossati, preferisco andare a sentire l’originale, anche se
poi le versioni della Mannoia non sfigurano. Quello che voglio dire è
che forse dovrebbe osare un po’ di più e cercare di selezionare
un proprio repertorio che la caratterizzerebbe di più, anche se,
ripeto, in questo modo si va molto più sul sicuro. Nel corso del
concerto sono state poi proposte cose per lei nuove, come diverse canzoni
francesi, pezzi sudamericani più mossi e diversi pezzi reggae (soprattutto
di Marley) con cui ha chiuso il concerto. Qui proprio la cosa non mi è
piaciuta, mal adattandosi sia al suo personaggio ed anche alla sua voce.
Da ricordare invece una bella versione di “Messico e nuvole” di Jannacci
e la solita bella “Sally” che rende molto più della versione dell’originale
di Vasco Rossi, tanto per smentire quello che ho appena detto, ma non proprio,
perché poi solo di un’eccezione si tratta e comunque ben vengano
interpretazioni che siano però personali e ben fatte e non semplici
riproposizioni degli originali. Comunque a breve avrete modo di giudicare
voi stessi, essendo in uscita un live tratto da questi concerti estivi.
Chi invece è andato al di sopra delle aspettative è stata
la PFM, che nello scenario di Piazza del Campo a Siena, ha ritrovato il
compagno di tante gloriose avventure: Mauro Pagani, che per una sera si
è riunito ai vecchi compagni, dando vita ad uno splendido ed interminabile
concerto in cui sono stati riproposti tutti i cavalli di battaglia dei
gloriosi tempi in versioni niente male. La classe d’altronde non è,
come si dice, acqua e qui signori di classe e tecnica ce ne sono da vendere.
Tutti i componenti sono ancora in splendida forma e la musica che sanno
ancora proporre, se da un lato suona chiaramente un po’ superata, dall’altro
continua ancora ad incantare grazie anche ai preziosismi tecnici che ci
sanno regalare. In simile contesto non ha stonato nemmeno un pesce in apparenza
fuor d’acqua come poteva sembrare Piero Pelù in simile occasione;
invece la sua misurata apparizione, che è servita se non altro
a richiamare un foltissimo pubblico, ben si è integrata con il resto
del concerto.
Ultima segnalazione per il ritorno di un altro gruppo che tutte le
volte che capita a tiro accorro a vedere ben sapendo che non ne resterò
deluso. Ed anche stavolta, in quel di Padova; i REM capitanati dal solito
spettacolare Michael Stipe non hanno deluso le aspettative. Non avendo
un disco nuovo da presentare, l’antologia in uscita non è da considerare
tale, il gruppo ha ripescato anche pezzi più vecchi e che in altre
occasioni difficilmente trovano spazio nei concerti. Resta da dire della
sempre altissima qualità della loro musica, della solita semplice
ma bellissima ed elegante scenografia e forse, se vogliamo essere anche
un po’ critici, del poco rispetto verso i fans, abbandonati senza tanti
complimenti dopo un paio di ore, seppur tiratissime, con un canonico bis,
quando si sarebbero forse meritati qualche altra piccola sorpresa finale.
Ma sarebbe stato forse chiedere troppo; ed allora accontentiamoci anche
così.
Bene, è tutto, certamente di concerti ce ne sono stati tantissimi
altri, forse in alcuni casi anche più belli di quelli che ho visto
io, ma tutto non si può avere o vedere, certo mi è dispiaciuto
ad esempio non potermi godere la prima apparizione italiana dei miei beniamini
Radio Birdman, anche se ormai sono quasi dei nonnetti, o il solito grande
spettacolo offerto dalla poetessa rock Patti Smith.
Sarà per l’estate prossima, ma anche così un po’ del
calore di questa estate torrida servirà a riscaldarci nelle fredde
e piovose serate invernali.
IZIMBRA